CHIARA: L’EREMITA-PASTORA DEL CERBAIOLO
L'avvincente esperienza dell'ultima eremita-pastora italiana, sospesa tra cielo e Cerbaiolo (Ar). Un racconto fatto di anni di frequentazione, dettagli e immagini, che rendono omaggio all'animo gentile di una donna e religiosa, scomparsa lo scorso aprile,
che si è ricostruita con le sue mani il suo eremo distrutto, animandolo di uno spirito che ha conquistato credenti e non credenti.

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Chi l’ha conosciuta, difficilmente può dimenticare quella piccola ma grande religiosa che è stata suor Chiara Barboni, considerata come l’ultima eremita-pastora d’Italia. Difficile però farla rientrare completamente in una di queste categorie. Impossibile altresì, separarla. Suor Chiara, si è spenta all’età di 86 anni con il vento della primavera (alle 15:52 del 29 aprile 2010) lontana però dal suo venerato Monte Cerbaiolo, dove vi ha fatto ritorno stavolta per l’eternità, il giorno del suo funerale il 3 maggio 2010, dove ima9è stata inumata nel cimitero monastico ai piedi dell’antico monastero. Una vita quella sua, spesa al servizio del silenzio di quei boschi, delle aspre rocce che dominano la valle, del vuoto-pieno dei corridoi monastici. Ma anche madre del suo focolare, dove portava i capretti più bisognosi. Voce che molte volte si confondeva nel frastuono dei belati delle amate “bambine” (come amava definire le capre in onore di colui che le ha create). Donna di profonda spiritualità: anche quando lavorando nelle stalle, la si sentiva sussurrare questa preghiera: “Padre Nostro…dacci oggi il nostro fieno quotidiano”. A poco servivano a lei le “ore della canonica preghiera”.

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Pregava davanti al suo focolare, ascoltando il sibilo del vento d’inverno irrompere dagli spifferi delle finestre. Suo era il crepitio del fuoco coi ciocchi che gli facevano da poggia piè. Gli animali sembravano fargli da coro: cani, gatti, agnelli, ma anche quel topolino che camminando tra i tubi arrivava fino a ricevere il formaggio dalle mani dell’anziana monaca. Anche una civetta si era accomodata in cucina, in quella normalità “selvatica” di cui suor Chiara sembrava essere depositaria, frutto –forse- di quella vicinanza spirituale con l’eremo della Verna dove frate Francesco ricevette le stimmate. Era per questo che con un guizzo d’orgoglio, suor Chiara amava ripetere a coloro che arrivavano fin lassù: “Chi vede la Verna e non il Cerbaiolo, vede la madre ma non il figliuolo”. ima4

Tanto semplice era la sua spiritualità (apparteneva all’Ordine della Piccola Fraternità Francescana di Santa Elisabetta d’Ungheria con sede in Firenze), da diventare contagiosa.

Chi ha avuto la fortuna di avvicinarla e frequentarla, può testimoniare il carisma che la piccola monaca emanava. In lei coabitavano saggezza e semplicità, tanto che l’impressione comune era quella di sentirsi disarmati davanti alle sue battute acute e piene di umorismo, come da quel suo rapporto un Dio che abitava tra quelle mura.

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Un dialogo essenziale il suo, da donna di montagna e cenobita, per niente distaccato, benché a volte severo. Incarnava la dolcezza dei gesti (le carezze fatte agli animali), ma anche l’austerità delle rocce che la riparavano (parole greve come massi). Così, ascoltare il paesaggio che circonda il Cerbaiolo era come ascoltare la voce della sua vecchia custode. Si percepiva che lei era “nel mondo, ma non del mondo”.

L'ETERNO IN ATTESA DELL'ETERNITA'

ima7Ripeteva spesso di “essere di passaggio” su questa terra, così da fare intendere che quel suo piccolo monastero che negli anni ’60 ricostruì pietra su pietra come fece Francesco a S.Damiano, era una specie di “stazione intermedia dello spirito”, ma con una più alta destinazione. Parlava del Cerbaiolo come di una parentesi che precede ciò che l’aspetta per sempre “quando il mio Signore mi chiamerà!”. “E’ uno spaccato di paradiso in terra?” ebbi modo di chiedergli un giorno. “Fai un po’ tu…” mi rispose lei sorridendomi col suo modo di fare sbrigativo, quanto incisivo. Pareva che le mura secolari e la carne sempre più fragile di suor Chiara si fondessero, dovendo durare per sempre. Eppure lei sentiva l’eco della sua morte giungere dalla valle. Già un anno prima la sua dipartita, nei suoi discorsi metteva come fosse “pepe” questa intuizione: “Sento che ormai il mio cammino sta per giungere alla meta…”. Poi chiudeva il tutto con una risata. E’ rimasta “da buon soldato” fino all’ultimo a difesa della sua postazione "terrena".

 

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Dal Cerbaiolo si è allontanata solo poche volte in trenta anni e per brevissimi periodi. Quando non era in casa, la trovavi dalle capre o nel bosco. E non c’era di che sorprendersi nel vedere una donna ultraottantenne portare balle di fieno con la carriola o distribuire la “chicca”, i cereali agli animali. Tutto per lei rientrava nella ima8normalità di una rara vocazione “pastorale”. Il suo tempo biologico era così iscritto nel divenire delle stagioni: aveva il tempo delle nascite (degli agnelli), quello del pascolo e siesta estiva, ma anche quello del rischio dei lupi e delle gelide notti invernali. Tutto questo era il “tempo diverso” che piombava su chi valicava la soglia del Cerbaiolo. Lo si capiva già abbandonando la macchina ai piè dell’irta salita che separa l’eremo dalla modernità. E che ridere, vedere suor Chiara spostarsi con la sua Renaul Diane, color panna, come se stesse manovrando una barca nella bufera. Chi vi scrive, quel tracciato per metà sentiero e strada sterrata, l’ha percorso più volte in sua compagnia. Scendere da quella macchina, voleva dire doversi riprendersi dagli smottamenti. L’ansia sua era semmai, tornarsene al più presto sul Cerbaiolo (continua...).

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