<%@LANGUAGE="JAVASCRIPT" CODEPAGE="65001"%> Suor Chiara - Aquila e Agnello

CARATTERE D’AQUILA E FARE DA AGNELLO

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Sarà perché quella vita austera l’ha forgiata, che Chiara è arrivata così come voleva arrivare ad un passo dalla morte. Solo l’ultimo breve, brevissimo, tratto di strada terrena l’ha trascorso là dove non voleva finire: in ospedale. Nessuno però anche qui, poteva trattenere quel suo continuo fuggire col pensiero verso il Cerbaiolo; laddove, come scriveva il poeta “Se sposti una pietra, sciogli un’ala”. Suor Chiara infatti, non è mai ima5fuggita dal mondo. E’ il mondo che non riesce a riconoscere la grandezza di queste figure. Ora che il suo spirito si è fatto parte invisibile del Cerbaiolo, andando a rinforzare la millenaria tradizione di questo luogo non c’è che il rammarico di non poter essere più consolati da quella umanità sempre più rara. Non è avventato dire ora che ne facciamo suffragio, che figure come quella di suor Chiara Barboni sono e restano “provocazioni” forti, soprattutto per chi non ha fede. L’ultima custode del Cerbaiolo non si presentava di certo come una teologa, eppure, molto avrebbe potuto insegnare ai “dotti della fede”, parlando di cose alte con semplici gesti.

Un esempio che vale molto più di qualsiasi insegnamento. Una trasparenza che divideva a stento quel carattere d’aquila, ma anche da agnello di suor Chiara, che ha spiccato il volo per sempre lasciando a noi il sentimento di profonda gratitudine per averla conosciuta durante il suo passaggio, che ha lasciato dietro di sè un vento impetuoso che sa di burrasca per tutti quegli spiriti distratti dalla vana modernità.

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GLI SCATTI DEL FOTOGRAFO E LO STILE DELL’EREMITA

Sono tra i pochi fortunati che hanno avuto la possibilità di fotografare suor Chiara nelle sue mansioni quotidiane. Ci ho impiegato quasi un anno prima di ricevere da lei il suo consenso. Non amava di certo farsi immortalare, ma quei miei scatti serviti poi per alcune copertine e articoli che raccontavano la bella storia di “Suor Chiara delle capre”, danno testimonianza della bellezza di questa figura, dai cui occhi si evinceva la profondità del suo animo. Facile per questo poterla ritrarre, ma assai più difficoltoso coglierne l’intimità. Fotografia ed eternità vanno spesso di pari passo, ma non è sempre una cosa facile dovendo trattare con un’eremita. Spero di aver colto questo genere di bellezza…

 

imakL’ULTIMO SUO VIAGGIO

Ad aspettarla ai piedi della salita c'era l’ambulanza per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Lei ne sembrava convinta. Erano da molti mesi che non ci vedevamo e quel giorno di febbraio decidemmo di partire da Vicenza per andarla a salutare. Arrivammo all’eremo dopo aver cambiato, misteriosamente strada facendo i nostri piani. Qui c’incrociammo con sorpresa con l’infermiere preoccupato sul come trasportare la suora all’ambulanza attraverso la discesa: “La vostra presenza è provvidenziale” ci disse lui. Non volevamo di certo essere lì per questo. Quando ci vide, Chiara disse: “Mi spiace solo non potervi preparare una pastasciutta. Siete venuti da così lontano per questa vecchia!”. Poi aggiunse: “Non sarete venuti per accompagnarmi all’ospedale? Nevvero…”. Iniziammo la discesa con lei posta su una speciale sedia. Più volte si è scusata per lo sforzo cui ci stava sottoponendo, aggiungendo poi qualche sua battuta. Poi disse: “Voi oggi siete entrati di diritto nella storia del Cerbaiolo per questo vostro sforzo. Chiamati per fare questo? Pensate un po’…”. Tutto si è concentrato in meno di un centinaio di metri in discesa fatta a piccoli passi. Quel giorno dopo che l’ambulanza partì per la via del ritorno, travolti dai nostri sentimenti per quel gesto inaspettato e pietoso, ci trovammo a vedere la neve che scendeva coi raggi di un sole pallido e un cielo azzurrino. Una stranezza che rendeva ancora più significativa la nostra presenza in quel luogo.

 

QUELLA SOLITUDINE FELICE
Articolo di Antonio Gregolin scritto per il mensile “IL BASSO VICENTINO” nel febbraio 2008

pastoraSuor Chiara del Monte Cerbaiolo, in provincia di Arezzo, è un esempio di serenità e sapienza quasi unica. Dal 1966 anni ha scelto di vivere la sua spiritualità in una dimensione di solitudine che la vede tra le pochissime religiose eremite d’Italia. Oggi, superati gli 80 anni, parlare di solitudine per lei significa rispolverare la freschezza della sua scelta vocazionale che, 40 anni fa, l’ha vista prima restaurare e poi abitare il piccolo convento dove oggi ancora risiede con le sue oltre cento capre. Una “pastora” e una mistica che spiazza per la sua semplicità e il suo pozzo di spiritualità: «Un pozzo sì, ma di acqua piovana - ammonisce la suora laica -, visto che io continuo a nutrirmi delle cose del cielo. Questa mia solitudine è una felice scelta - continua lei -, che ancora oggi, dopo ben 40 anni passati quassù, serve a soddisfare le mie esigenze. Qui io mi nutro di natura e spirito. E più passano gli anni e io invecchio, più capisco che Dio si trova ovunque, soprattutto nella perfezione degli animali che allevo». Parole che sanno di un francescanesimo delle origini, immersi in una natura fatta di boschi e profumi ormai dimenticati: «Vede, qui si allarga il panorama sul divino, e il dono di questa scelta, che a molti può sembrare irrazionale - continua la suora -, riempie ogni tipo di solitudine mentale e fisica. Nel dire che la mia è una scelta di vita, voglio anche rispondere che non mi sento sola. Ho una solitudine riempita da tutto ciò che mi sta intorno. Altri prima di me hanno vissuto quest’esperienza, intendo dire quei monaci che nei secoli hanno abitato questo mio stesso luogo. E’ un’eredità che mi è stata concessa. Non posso dire certo che gli anziani che vivono in città oggi possono fare come me, ma credo che, se oltre ad aiutarli fisicamente, nutrissimo il loro spirito vedremmo molti frutti. In realtà credo che oggi siano pochi gli anziani che sanno vivere con se stessi: i più vivono di nostalgie, ricordi e troppi rimpianti. Così si fossilizzano. Non diciamo loro che la fede è la felicità e porta alla serenità. Come coltivano l’orticello, più ancora dovrebbero nutrire il loro spirito che diventa il loro nido e rifugio più sicuro. I più invece guardano a quel loro orto, sapendo che presto vi crescerà l’erba alta perché loro non ci saranno più. Se invece guardano più in là potrebbero rendersi conto che l’esperienza della felicità passa attraverso quella spirituale che non ha età e non dovrebbe invecchiare».